Crisi identitaria

“La crisi di identità che ha investito il mondo contemporaneo nasce anche e soprattutto da una crisi della territorialità che consiste essenzialmente nella perdita del “luogo” come punto di riferimento e di esperienza umana, poiché il processo di mondializzazione in atto ha provocato una sorta di dilatazione del rapporto uomo-territorio, che porta ad una fluidificazione delle relazioni ed alla perdita delle proprie radici culturali. Si sperimenta infatti sempre più un’esistenza legata a luoghi ormai spogliati di significato. Il bisogno di costruire un’identità sociale e culturale nei giovani oggi diventa dunque più che mai di vitale importanza, in quanto alla loro particolare condizione di “mobilità” psicologica, che di per sé genera insicurezza esistenziale, si accompagna il senso di precarietà determinato dalla perdita del “luogo” e delle sue qualità…” Con queste parole Maria Pia di Giorgio esprime in “La rappresentazioni dello Spazio”( pag. 333, a cura di E. Fiorani e L. Gaffuri) un fenomeno sotto gli occhi di tutti. La perdita dello spazio dell’agire umano, lo spazio vero e proprio, non quello virtuale e nemmeno quello preconfezionato, uguale agli altri e predisposto da un ente o un soggetto esterno al corpo sociale, solitamente per fini commerciali. La costruzione del Museo del Francescanesimo reatino, insieme alla creazione del giardino medievale e all’impegno della Diocesi di Rieti di trasformare il Salone delle udienze papali (la così detta sala degli stemmi) da contenitore a contenuto, in una più ampia prospettiva di rivalutazione dei beni storico-artistici della città, sono solo alcuni dei tentativi di ricostruzione del “luogo” di cui sopra si parlava. Luoghi di identità, in grado di restituire al corpo sociale locale e nazionale non solo una storia e una cultura di appartenenza, ma anche un luogo di confronto, azione e narrazione proprio, dove l’espressione e la consapevolezza delle proprie peculiarità siano complete, interdisciplinari e al contempo espresso in forme teoriche e pratiche. Infatti oltre ai saperi storici e artistici, definiamoli d’archivio, Hortus simplicium si occupa di trasferire alle generazioni a venire e presenti, una serie di conoscenze pratiche, acquisite tramite l’archeologia sperimentale e lo studio analitico dei testi, che rischiano di scomparire a causa del loro non essere contemplati e funzionali in una società del reddito e del consumo. La saponificazione, la produzione di oleoliti, pergamene, inchiostri, tintura naturale di tessuti, simboli e utilizzo del mondo vegetale, recupero di piante spontanee e rare, reificazione funzionale e rispettosa del territorio, sono solo esempi di una sfida di valorizzazione di un patrimonio immenso del saper fare, quasi del tutto perduto nel magma dell’industrializzazione, e che mai come ora sembra divenire di attualità visto la ricerca (o un bisogno di riscoperta?) di un nuovo paradigma ecologico ed economico sostenibile da una struttura sociale complessa e diversificata, ma ormai lontana da quella classica capitalistico-liberista. Hortus Simplicium è un’associazione di promozione sociale che promuove il corpo sociale nella sua linfa più vera e profonda, dimenticata, nella sua accezione più vera, cioè quella di legame meteriale e spirituale, ancorato a un territorio che ne caratterizza il vissuto, l’evoluzione sociale, economica e culturale da millenni. Un legame che come un albero ha radici profonde, rese forti dalle tempeste che l’hanno investita, che ha dato frutti dimenticati, e che è pronta a darne altri, a patto che sia resa centrale e curata in quel giardino che è la nostra società che invece vuole estirpare per fare spazio a nuove colture (o culture?) credendo di trovare qualcosa di migliore e nuovo, ma che in realtà sta facendo spazio solo al deserto. Perché nel nostro paesaggio vi è una costruzione di simboli, inconsapevoli, che permettono un sano riprodursi del corpo sociale, e il primo segno del deserto incombente è la perdita di questi significati nei giovani: compito primario del Museo e del giardino botanico medievale, posti non casualmente al centro della città, nel palazzo Papale, aperte a visite guidate, è quello di restituire simboli, significati e cultura del luogo e dell’appartenere. Primo passo verso un percorso di riappropriazione e costruzione per il futuro.

G.F.

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